Twitter passa a 280 caratteri: raddoppia il rischio di scrivere minchiate?

Pare che Twitter, il social network della sintesi e della battuta al fulmicotone, stia sperimentando il raddoppio dei caratteri permessi in un singolo tweet, da 140 a 280.

Ufficialmente si tratta di un tentativo per venire incontro ai problemi lessicali delle lingue occidentali, la cui insita natura costringe spesso gli utenti a ridurre al minimo la comprensione del testo scritto a causa dell’esiguo numero di caratteri concessi, problema non presente invece nelle lingue orientali basate su ideogrammi.

In pratica, si tratta di un cedimento di Twitter ad una richiesta piovuta dai più, una sorta di snaturamento del mezzo che però potrebbe permettere una maggiore qualità dei contenuti, slegati dai legacci dei 140 caratteri ma per questo più chiari ed esaurienti.

Sappiamo tutti però che non sarà così.

In realtà, si è volutamente raddoppiato lo spazio per scrivere e condividere minchiate. Quelle innocue e divertenti, ed è cosa buona e giusta, ma anche quelle bufalare, razziste, antiscientifiche e pericolose, cosa invece orrenda e sbagliata.

D’altronde chi siamo noi per smentire Evan Williams, fondatore tra le altre cose proprio di Twitter, il quale ha dichiarato poco tempo fa che “internet non funziona più“, perché “favorisce gli estremi”? Direi proprio nessuno e anzi ci permettiamo di aggiungere che il più delle volte internet favorisce pure i cretini.

No, non tornerò a citare il buon Umberto Eco (perché l’ho già fatto qui), ma il pensiero non può che tornare con amarezza a quella sua evidente e incontrovertibile conclusione, sempre più attuale e MAI, mai e ancora mai smentita.

Viviamo tempi decisamente barbari, cari amici. La passione e la gioia di scrivere, comunicare e – quando si hanno i titoli – divulgare informazioni viene ogni giorno messa alla prova dalla “marea grigia” delle fake news, del sentito dire, del mantra “l’ho letto su internet” che ammorba e intorbidisce il dialogo online ma anche dal vivo.

Siamo tutti medici, avvocati, ingegneri, giornalisti, geologi, fashion blogger, politologi, critici di cucina, d’arte, di musica.

Siamo tutto, siamo tutti, sempre e comunque.

In effetti però, stando così le cose, altri 140 caratteri per le nostre minchiate possono davvero tornare utili.

Il lavoro di merda non l’ha inventato Carpisa

Da qualche giorno il web si è giustamente indignato per una vergognosa proposta di stage targata Carpisa che partiva dal presupposto obbligatorio dell’acquisto di una sua borsa, soltanto dell’ultima collezione peraltro.

Mi sembra inutile tornare nel dettaglio sull’argomento, l’abbiamo capito tutti che è stata una letterale stronzata, un’ennesima conferma di quanto la dignità del lavoro in Italia raggiunga pressoché ogni giorno nuove vette verso il basso.

C’è da dire infatti che se indubbiamente l’eco mediatica di un marchio come Carpisa, leader tra le produzioni di borse di qualità non eccelsa, non poteva passare inosservata, ogni giorno centinaia di migliaia di giovani e meno giovani, freelance, partite iva subiscono soprusi simili se non addirittura più gravi, spesso nel più completo anonimato.

Gli esempi sono tantissimi: dai pagamenti a xxx giorni a quelli mai arrivati con scuse spesso meschine, confidando sul fatto che un’azione di recupero per somme troppo piccole alla fine non conviene farla perché costerebbe di più del credito da riscuotere; dagli incarichi dati a simpatia e tolti per antipatia a quelli promessi e mai visti, causa magari nel frattempo della rinuncia di altri lavori.

Ma non è tutto: pensate a chi vede sminuire il proprio lavoro, chiamato per “favori che risolvi in un minuto” ma che alla fine, sommati i minuti, rubano tempo ad altre possibilità di lavoro o di formazione.

Pensate a chi si trova sotto scacco, costretto ad accettare offerte ridicole per cercare di tirare avanti, ottenendo il doppio danno di aver svilito sé stesso e l’intera categoria di professionisti a cui appartiene.

Insomma, a Carpisa va forse il merito di aver scoperchiato la grande cloaca del lavoro atipico, dove avere dignità significa, in molti casi, restare sulla soglia della povertà, ma di sicuro non le si può addebitare il ruolo di creatore del lavoro di merda.

Quello, purtroppo, esiste già da parecchio tempo.