Inizia il “Panettour”, evviva i panettoni artigianali siciliani!

Quando ormai qualche anno fa io e Gianpaolo Miceli iniziammo, quasi per scherzo, a fare le dirette streaming prima su Periscope e poi su Facebook per parlare delle eccellenze del nostro territorio, non avrei mai immaginato che il nostro format sarebbe diventato così popolare e ambito…eppure, numeri alla mano, non solo le dirette piacciono e vengono viste da migliaia di persone ma addirittura i nostri “10 minuti con CNA” hanno partorito un vero e proprio spin-off dedicato ad uno dei prodotti simbolo del Natale, ovvero il panettone. Diamo il benvenuto quindi al nostro primo Panettour!

Ma cos’è precisamente il Panettour?

Visto il particolare periodo dell’anno e vista soprattutto l’altissima qualità media delle produzioni locali, Gianpaolo Miceli (che lo ricordiamo è nientepopodimeno che il vicesegretario della CNA di Siracusa nonché il presidente di Unifidi Sicilia) ha avuto l’idea di dedicare una serie di trasmissioni live alla produzione locale dei panettoni artigianali, declinati secondo le peculiarità delle aziende associate di Siracusa.

Ecco allora la necessità di impostare una sorta di “tour” dei panettoni, ribattezzato dal sottoscritto proprio “Panettour”, immaginato come una costola dei tradizionali “10 minuti con CNA” e tutto incentrato sulla specialità di questo prodotto, nato a Milano ma che la Sicilia – e Siracusa in particolare – ha adottato e personalizzato arricchendolo con profumi e sapori tipici del territorio.

Cominceremo oggi, 7 dicembre, alle ore 18.30 circa (chi segue i 10 minuti sa già che gli orari sono puramente indicativi!) e vi accompagneremo per ben 4 puntate fino a Natale, degustando per voi quattro esempi di panettoni artigianali molto originali, prodotti da altrettante rinomate pasticcerie del territorio.

Insomma, un duro lavoro che qualcuno doveva pur fare e per fortuna questo qualcuno siamo io e Gianpaolo Miceli…meno male va!

Allora, a questo punto non mi resta che prepararmi alla degustazione e augurarvi buon Panettour a tutti!

Non chiamatemi più “SDC”!

Uno spettro si aggira per i ristoranti e le trattorie di mezza Italia: quello dell’approssimazione!

Come molti di voi ormai sapranno, mi diletto a cucinare ma soprattutto a mangiare bene, in casa e fuori.

Ho avuto la fortuna di frequentare il corso Onav di assaggiatore di vini e, sebbene specifico per l’inebriante bevanda, proprio quel corso mi aiutò a stimolare strumenti di degustazione adattabili a più o meno ogni contesto, in particolare per l’individuazione di 4 dei 5 gusti fondamentali e cioè il dolce, il salato, l’amaro e l’acido. Il quinto, l’umami, come noto non è presente nel vino.

Il gioco degli equilibri, delle consistenze, dei contrasti: assaporare un piatto per me è quasi un momento religioso, che mi godo con attenzione e massimo piacere.

Quando mi ritrovo però in compagnia di amici e parenti, questa mia continua ricerca della perfezione e di analisi minuziosa delle pietanze provoca nei commensali due reazioni: la prima, ingiustificata, quasi di soggezione latente, come se il mio giudizio fosse chissà perché più importante di quello degli altri; la seconda è invece quella più gettonata, e cioè la classica presa in giro, seguita immediatamente da un simpatico – si fa per dire – nomignolo: “SDC“.

SDC è un acronimo di un modo di dire siciliano, “SticchioDiCulo” (lo scriviamo tutto attaccato per eludere la censura), il cui significato letterale non c’entra assolutamente niente con il senso che gli si vuole attribuire in questo contesto. Di fatto, significa “snob”, “precisino”, “puntiglioso” e anche, se volete “rompiballe”. Nel mio caso, poiché sono sempre il primo a notare errori nel servizio o nelle preparazioni, mi è stato coniato a furor di popolo, con grandi risate a corredo.

Eppure, se SDC significa pretendere la qualità e la professionalità minima in un locale degno di tal nome, allora lo rivendico con orgoglio.
Certo, so perfettamente che non esiste uno standard unico per ristoranti, trattorie o pizzerie, eppure su alcuni punti non si possono fare sconti. Mi riferisco ad esempio alla pulizia, alla gentilezza, alla correttezza dei comportamenti. Poi non pretendo certo una pasta con le sarde memorabile se la pago 6 euro in trattoria, ci mancherebbe! Ma in un ristorante che mi piazza a 28 euro uno spaghetto agli scampi, voglio che siano direttamente gli scampi a servirmi al tavolo grazie alla loro freschezza!

E allora cari amici, invece di scherzarci su, vi invito a diventare tutti un po’ più SDC: se cominciassimo tutti a far notare gli errori gravi ai ristoratori, forse la qualità del servizio in generale ne gioverebbe e l’immagine della cucina italiana, ancora in grande spolvero nonostante tutto, continuerebbe a restare un orgoglio per questo Paese.

Essere SDC però non significa MAI svilire il lavoro altrui: anche nel far notare un errore serve educazione e civiltà. Perché l’SDC alla fine fa ridere, il cafone al contrario è sempre e comunque soltanto fastidioso.

In foto: tipico esempio di piatto “sdc”

A tavola pane e …frustrazione

Quando il modo di dire #maiunagioia divenne virale, oggettivamente cominciò a darmi noia. Usato sempre, comunque e spesso a sproposito, #maiunagioia aveva cominciato a perdere il suo significato di intrinseca protesta contro le ingiustizie della vita per diventare una scusa valida a mostrare petulanza e lamentele inutili in ogni contesto.

Eppure, quando uno come me si siede a tavola, non può che pensare a quanto crudele sia stato il destino…

Figlio di ben tre culture culinarie ben distinte (la siracusana per nascita, la ragusana e la calabrese per discendenza), di fatto mi ritrovo a scandire i momenti della giornata e finanche i ricordi più belli della mia vita sempre legati a un particolare cibo o preparazione.

Per fare un esempio, se qualcuno mi chiede di ricordare un incontro, un evento o qualcosa di simile, la mia memoria mi mette immediatamente a fuoco il menu della cena o del pranzo ad esso collegato, prima ancora degli eventuali commensali. Esempio: “Giovanni ma ti ricordi come era bella Roberta al suo matrimonio?” e io: “come no, c’era un prosciutto cotto glassato al miele che ancora me lo sogno!” e via di seguito.

Adesso è più chiaro comprendere come l’essere costantemente invitato a cene e degustazioni o preparare io stesso i pasti a casa risulti nel mio caso una tortura continua, a causa della pericolosa tendenza a mettere peso che la natura mi ha voluto accollare.

Io ho molti problemi con la cucina dietetica, per così dire: non riesco a tollerare le versioni “depotenziate” delle ricette, quelle cioè che partono da un nome altisonante per poi diventare altro, più insipido e privo di “sostanza”. La carbonara con il prosciutto cotto, la parmigiana con le melanzane arrostite, le cotolette arrostite, il cucchiaino misurato di olio d’oliva…limitazioni, pesi che ostacolano il gusto e rendono la vita di un “diversamente snello” come me senza gioie…anzi, con #maiunagioia.

Il problema è il contesto. Qui da me bastano i profumi di un panificio sperduto per riaccenderti la fame atavica, quella genetica che permetteva alla natura di mettere da parte il grasso necessario a superare i periodi di magra…l’altro problema è che di periodi di magra non ce n’è più.

E poi, ultimo problema, mi piace mangiare bene. Ma forse questo lo avevate già capito!