La comunicazione politica è morta, evviva la comunicazione politica!

Il risultato di queste elezioni amministrative, soffermandoci sull’anomala situazione di Siracusa, una delle poche città in cui il centrosinistra si riconferma, è destinato a diventare un caso di studio per chi da ora in avanti vorrà occuparsi di comunicazione politica.

Il primo turno vedeva scontrarsi tra loro sette candidati alla carica di sindaco, ciascuno con una sua chiara identità politica e con uno stile comunicativo facilmente identificabile, sul quale non entro nel merito.

Il ballottaggio è diventato invece una cartina di tornasole su cosa si dovrebbe o non si dovrebbe fare per provare a far passare un messaggio politico alla popolazione.

Da una parte avevamo Ezechia Paolo Reale, noto avvocato penalista, dalla figura altera e seriosa, giustamente conosciuto e stimato in città proprio per la sua professionalità e per il suo atteggiamento naturalmente autorevole. Una persona che al solo guardarlo, volente o nolente, un po’ di soggezione te la mette.

Dall’altra c’era invece l’anfitrionico vicesindaco uscente di Siracusa Francesco Italia, sempre allegro, in bicicletta, poliglotta, show man e abituato ad affrontare con naturalezza il pubblico, un perfetto uomo di marketing che nonostante i tanti problemi sollevati quotidianamente dai siracusani in questi ultimi 5 anni di governo, proprio non riesce a star antipatico a quasi nessuno.

La strategia di comunicazione scelta dai due contendenti, dai profili diametralmente opposti, è stata anch’essa completamente diversa: il primo ha deciso di voler provare a dare un’altra immagine di sé, snaturandosi completamente, mentre il secondo è rimasto fedele al suo approccio naturale, giocandosi la partita proprio sul suo essere quello che è sempre stato, ovvero il “frontman” di Siracusa.

Ovviamente, tra la forzatura e la naturalezza, non poteva che vincere la naturalezza. La comunicazione di Francesco Italia, basata su numerose dirette estemporanee di Facebook, dove l’improvvisazione programmata (scusate l’apparente ossimoro, ma credetemi per improvvisare bisogna essere davvero preparati nonché predisposti) la faceva da padrone ha colpito nel segno.

Il senso di allegria, di partecipazione, di appartenenza grazie alle numerose dirette è stato colto appieno dai cittadini, tanto che in quelle rare occasioni in cui ci si è affidati a video professionali (come ad esempio quello con il drone e il giro in bici lungo il periplo di Ortigia) si è rischiato per un attimo di apparire altrettanto finti e costruiti.

Menzione (negativa) a parte merita l’ultimo video girato in campagna elettorale da Ezechia Paolo Reale che in un sol colpo commette tutti gli errori possibili e immaginabili nella comunicazione politica: 1) utilizza un messaggio “al negativo”, concentrandosi sulle colpe dell’avversario piuttosto che sui meriti propri e del proprio programma; 2) utilizza un’ambientazione cupa, oscura, in grado di trasmettere anche soltanto dopo pochi secondi un senso di angoscia e di preoccupazione che la vista, ancor prima che l’udito, associa proprio al protagonista del video; 3) non lascia alcun ricordo positivo sul candidato e sulla sua campagna elettorale che di fatto, per colpa di questo video, viene ridotta ad una sorta di elogio dell’oscurità.

Detto questo, è evidente che le cause della sconfitta di Reale e quindi della vittoria di Italia non sono da riscontrare soltanto nella gestione della comunicazione politica, visto che al netto di eventuali irregolarità che potrebbero sorgere dopo i ricorsi annunciati, è palese che non tutte le 8 liste a sostegno di Reale hanno sostenuto allo stesso modo il loro candidato, mentre al ballottaggio tutti gli ex candidati che si sono ritrovati nel progetto di Italia hanno al contrario lavorato sul serio a sostegno del nuovo sindaco di Siracusa.

Ci sono sempre motivazioni politiche profonde alla base di un risultato elettorale, ma non dimentichiamoci che mentre una buona comunicazione politica da sola non fa certo vincere le elezioni, molto probabilmente una pessima gestione della comunicazione può contribuire a farle perdere.

Elezioni amministrative, pronto il rush finale…prepariamoci all’invasione social dei candidati!

Tempo fa vi ho parlato di un pericoloso rischio di overdose elettorale per i cittadini siciliani, impegnati in ben tre consultazioni elettorali a distanza di pochi mesi. A giugno, salvo imprevisti, si chiuderà finalmente il cerchio di questa terrificante campagna elettorale continua.

Per capire la situazione in cui ad esempio si troveranno i votanti di un comune medio-piccolo come Siracusa, basta fare qualche semplice calcolo.

Ad oggi, sono state ufficializzate o quasi 12 candidature alla carica di Primo Cittadino. Ipotizzando il sostegno di almeno due liste per candidato (qualcuno, come i 5 stelle, ne avrà una, altri però più di 2), si possono stimare circa 24 liste piene di aspiranti consiglieri comunali; considerando infine che ogni lista deve ospitare 32 persone, cioè il numero massimo di consiglieri eleggibili, ecco ottenuto il conto dei candidati possibili per questa tornata amministrativa, ben 768!

Con un tale esercito di persone che hanno ambizioni politiche, è evidente che i profili social degli abitanti della piccola cittadina di Archimede (e pure la mia, più modestamente) si preparano ad essere bersagliati da un’agghiacciante sequela di slogan e messaggi promozionali autogestiti tali da far accapponare la pelle.

C’è la convinzione diffusa infatti che la campagna elettorale sui Social, anche per diventare un semplice consigliere comunale di Siracusa si debba fare sullo stile di Trump, magari sperando nella collaborazione della “Cambridge Analytica” di turno.

Premesso che in realtà per profilare i siracusani basta molto meno, quello che a molti maghi del marketing politico sfugge è che quanto meno nella nostra città, ma io credo anche nel resto d’Italia, sui social la campagna elettorale di certo non si può vincere, ma di sicuro si può perdere.

I voti infatti, come sanno i vecchi volponi della politica, vanno cercati casa per casa, parlando con i cittadini, instaurando un dialogo autentico che non può essere basato sulle false promesse, alle quali nessuno crede più, ma sul reale impegno. Ad esclusione del voto ai 5 stelle, dato per evidenti motivi di frustrazione spesso ignorando addirittura l’identità dei candidati, tutti gli altri aspiranti consiglieri devono coltivare il proprio elettorato di presenza, non online.

Tuttavia, basta una reazione scomposta, un post sbagliato o un’uscita fuori dalle righe sui social per danneggiare anche in maniera grave la propria immagine, facendo perdere la fiducia nel proprio candidato.

Sui social network è dunque fondamentale produrre contenuti coerenti con il proprio pensiero e la propria impostazione politica, restando equilibrati e affrontando eventuali critiche sempre col sorriso, smorzando sul nascere ogni polemica. Bisogna essere fattivi, concreti, autentici, bisogna dare motivi di orgoglio ai propri elettori che potranno condividere con soddisfazione le proposte del candidato sostenuto.

Se si affronta la campagna elettorale online in questo modo, quasi sicuramente non solo non si perderanno voti ma c’è addirittura il rischio di rintracciarne qualcuno non previsto.

In bocca al lupo a tutti allora, soprattutto a noi cittadini che dovremo scegliere a chi affidare il nostro futuro!

Che fine ha fatto la buona educazione?

Colgo spunto da qualche episodio spiacevole successo a persone a me molto care per tornare a scrivere in questo trasandato blog; argomento del giorno è la buona educazione o, meglio, la mancanza di buona educazione.

L’incipit “ai miei tempi”, abbastanza odiato e inflazionato, suona quasi ridicolo in bocca a un 36 enne che la guerra di certo non l’ha fatta; eppure, purtroppo, in soltanto una generazione, le cose sembrano davvero peggiorate.

Qualche giorno addietro una mia cara amica, incinta di 8 mesi e con un bel pancione chiaramente indicatore del suo status, ha chiesto ad un noto bar nel centro storico di Siracusa, città eletta ormai da tutti i portali del mondo una delle mete turistiche più ambite, di poter usare il bagno. La prima risposta del signore presente (non sappiamo se il titolare o un suo dipendente) è stata già molto indicativa: “prima deve consumare!”. Alle proteste della prossima puerpera, il soggetto in questione ha inizialmente acconsentito all’uso del famigerato bagno.

All’uscita dai servizi però, la mia amica si è sentita apostrofare con una perentoria richiesta di 50 centesimi da pagare; “ma nessuno in città ha fatto mai pagare l’uso del bagno, specialmente ad una donna incinta!” ha spiegato la giovane futura mamma; “non è vero – ha risposto sempre il soggetto in questione – il bar……… (e nomina un famoso bar nelle vicinanze) – lo fa pagare.” “La devo smentire – lo gelò infine la mia amica – sono stata lì qualche giorno fa e sono stati invece gentilissimi”. Qui, a questo punto, arriva il tocco di grazia, la finezza che ci inorgoglisce in quanto discendenti di Archimede, eredi di Corinto, cultori della bellezza e dell’eleganza: “E allora si ni issi all’autru bar!” (Traduzione dal siciliano: e allora se ne torni pure nel bar dove non pagava!”).

Il gesto, inqualificabile, ha una difficile spiegazione, se non nell’assoluta mancanza di buona educazione da parte di questo “signore” (usiamo le virgolette), alla quale va aggiunta l’assenza di umanità, buon senso, sensibilità, correttezza. Il problema – torno a specificarlo – non riguarda nemmeno la richiesta dei 50 centesimi che si sarebbero potuti chiedere in ben altro modo, ma il tono da cafone maleducato che di fatto mette una croce sopra alla frequentazione di quel bar da parte di un bel gruppetto di persone, capeggiato da un non modesto consumatore come il sottoscritto.

Ma non è tutto.

In città – ma credo un po’ ovunque in Italia, anche se ovviamente non ne ho contezza diretta – è in atto una sorta di diffusione di un sentimento di cattiveria gratuita che sembra addirittura piacere più della buona educazione.

Da non confondere con il pessimo buonismo – che invece diventa una filosofia che tutto giustifica, anche comportamenti inqualificabili – la buona educazione è ad esempio quella di cedere il posto sui mezzi o in sala d’attesa ad anziani, donne incinte, persone con difficoltà deambulatorie; aiutare giovani donne o anziani a trasportare la spesa, casse d’acqua, pesi ingombranti; salutare con un sorriso e un buongiorno i vicini, intavolare una breve discussione in ascensore, dire “grazie”, “prego”, “mi scusi”, “si figuri”, “di niente”, “permesso”, “per favore”, oppure perché no, dare un bacio a vostra moglie/marito/compagno/mamma/papà/nonno/nonna senza un motivo apparente, solo per dimostrare un po’ di affetto.

E invece, siamo sempre incazzati. E non tolleriamo più niente e nessuno. Una donna entra in un noto negozio in carrozzina e una persona esclama: “già siamo stretti, ci mancava pure quella con la sedia!”. Aberrante.

Se una donna incinta salta una coda, al supermercato come ad un pubblico ufficio, nel rispetto della legge, sono più gli sguardi di odio che quelli di gioia per il pargolo in arrivo. Terrificante.

Se una persona con difficoltà motoria nell’attraversare la strada perde un attimo più di tempo, gli suoniamo irritati. Vergognoso.

E in questo contesto non voglio nemmeno toccare l’argomento della buone educazione online, un universo che puzza come una cloaca, pieno di leoni da tastiera che, di fronte allo sputtanamento dal vivo, poi diventano pecorelle.

Io lo so perché siamo incazzati: i soldi, i pagamenti, le tasse ecc. Ma quando pensiamo a cosa possiamo fare per migliorare il mondo, non immaginiamoci come statisti che governano i popoli; pensiamo ad essere più gentili prima di tutto con chi ci sta attorno e poi anche con gli estranei. Sono convinto – ma qui si entra forse nell’utopia – che una grande cambiamento può iniziare soltanto dopo un gesto di gentilezza.

A proposito: grazie per avermi dedicato qualche minuto del vostro tempo!

Rappresentazioni Classiche a Siracusa: l’emozione di sedersi sulla storia

L'immagine può contenere: una o più persone e spazio all'aperto

La mia città, Siracusa, ha un passato molto più glorioso del suo presente e di quello i suoi abitanti si vantano, quasi si crogiolano. Forse sbagliamo, ma credetemi, o facciamo così o davvero ci resta la disperazione!

Non faccio di certo parte della schiera dei disfattisti di professione, di quelli che cioè godono nel dipingere la propria città come una cloaca ma, seppur a malincuore, Siracusa – amatissima dai turisti – offre purtroppo più ostacoli che opportunità per essere visitata, a cominciare dall’annoso problema dei trasporti. E però…

L'immagine può contenere: una o più persone, cielo, albero, spazio all'aperto, natura e acqua

E però, ci sta lui, sua maestà il Teatro Greco. Ogni anno grazie all’Istituto Nazionale del Dramma Antico (INDA) su questa maestosa opera architettonica, scavata interamente nella roccia, vengono riprodotte le tragedie e le commedie dei più importanti autori della storia classica, da Eschilo a Sofocle, da Euripide ad Aristofane, per la gioia degli appassionati e degli ex studenti di ogni Liceo Classico che si rispetti.

Sedersi su quelle pietre, credetemi, permette un immediato salto nel tempo. Si viene catapultati a oltre 2500 anni fa (a proposito: quest’anno Siracusa compie ben 2750 anni!), ci si immagina circondati dai figli di Corinto, entusiasti e pronti a ripartire da zero in questa nuova e lussureggiante terra, lambita dal mare, baciata dai venti, benedetta dalla terra fertile. Ci si sente orgogliosi del proprio sangue greco, si dimentica per un’ora e mezza il ritardo clamoroso dei bus navetta, il traffico asfissiante, la differenziata al 5%, e si torna ad essere fieri, quasi a guardare come barbari i popoli “oltre confine”, costretti ad utilizzare il nuovo servizio di traduzione simultanea messo in campo dall’Inda.

Il consiglio, totalmente disinteressato a livello economico ma dato da vero amico, è quello di stare almeno tre giorni a Siracusa nel periodo primaverile, due da dedicare alle tragedie di quest’anno – I sette contro Tebe di Eschilo e Le Fenicie di Euripide – e il terzo da dedicare alla città, all’isola di Ortigia, ai vicoli più nascosti e pittoreschi. Dal 29 giugno poi arrivano pure Ficarra e Picone per Le Rane di Aristofane ma di biglietti credo ne siano rimasti pochissimi!

Per sapere tutto su trame, programma, biglietti e anche per trovare qualche posto interessante dove dormire e dove mangiare a Siracusa, potete cominciare a dare un’occhiata al portale Fuori Teatro, in costante aggiornamento.

Sono sicuro che poi mi ringrazierete!

Il sito, l’identità, l’essenza di Giovanni Polito

Ci siamo: la mia creatura, il mio sito personale, sta prendendo finalmente vita.

La questione è semplice: nel mondo dominato dalla comunicazione social, diventa sempre più fondamentale creare e poi curare il proprio sito web personale.

Guardate che non è un paradosso quello che scrivo: usando una metafora (e ne troverete tante, sparse nelle varie sezioni), nel mare in tempesta delle informazioni convulse che transitano sui social media, il proprio sito personale rappresenta una sorta di isola sicura, un porto franco nel quale rifugiarsi e ospitare, perché no, anche qualcuno dei milioni di naufraghi intontiti dai flussi mediatici incessanti.

La durata media dell’interesse di un contenuto condiviso su Facebook è, stando ad alcune ricerche indipendenti, circa 15 ore, contro le poco più di 4 di Twitter e le circa 22 di Instagram. Questo significa che in meno di un giorno (se va bene) qualunque vostro segno di esistenza social perde radicalmente di valore, venendo soppiantato nello stream dei vostri amici da un video di gattini o da gente che si incendia i peti.

Diventa quindi necessario conservare in un luogo virtuale i contenuti che per voi meritano di un’attenzione maggiore e di una vetrina sempre valida, uno spazio web dove raccontare e raccontarvi, professionalmente o anche privatamente, ad esempio mettendo a nudo i vostri sentimenti tramite un blog a tema.

I social si trasformano in questo caso in semplici strumenti, mezzi di divulgazione di contenuti creati da voi e che nessuno può permettersi di scalzare con gattini o peti, perché restano sul sito finché glieli lasciate voi.

A partire da oggi dunque qui, su www.giovannipolito.it, partiranno spunti di riflessione, racconti di esperienze e passioni vissute che avrò il piacere di condividere con chi vorrà concedermi qualche minuto del suo tempo.

Il sito, ancora in fase di completamento, è formato da due sezioni di cui una parte prettamente “istituzionale”, dove si può consultare la mia esperienza professionale, a sua volta divisa in cinque macroaree e dalla quale è possibile poi partire per eventuali richieste di consulenze e/o incarichi; la seconda parte è invece questa legata al classico blog, lo strumento dinamico con il quale cercheremo di instaurare un dialogo alla pari, con spunti e interventi legati alle mie passioni o all’argomento del giorno.

Vi ringrazio in anticipo per l’attenzione che mi dedicherete: spero onestamente di meritarmela, quanto meno più dei gattini e dei peti!